Woody Guthrie fa parte della cultura mondiale, e come tutti i grossi fenomeni culturali spesso viene considerato un “monumento” acquisito, un dato di fatto, un tassello che semplicemente esiste nella storia, con cui ci si confronta staticamente. Tra lui e i nuovi autori di oggi esiste un’intera generazione di vecchi talmente grandi (citiamo Dylan, per fare un nome, ma non è l’unico esempio) che una produzione legata per lo più agli anni Trenta e Quaranta rischia di apparire solo un fenomeno del passato, il fondamentale passato da cui è nato il folk revival degli anni Sessanta. Se è certo vero che si deve a Woody questa paternità, se da un lato la nuova canzone degli anni Sessanta si nutre completamente della sua lezione, dall’altro il suo lavoro artistico rimane insuperato ed è assolutamente indipendente da quello che ne è seguito. Perché non è più esistito, e non potrà esistere, un altro Woody Guthrie. Woody è uno di quei casi unici che per onestà intellettuale dovremmo definire inclassificabili, casi che al contempo offrono, nella parabola di una vita artistica breve, la sceneggiatura del cambiamento irreversibile di una tradizione. Woody raccoglie influenze disomogenee, si appropria di modi musicali e di metodologie di narrazione, li utilizza ma al contempo li innova, filtra tutto attraverso esperienze, percorsi interiori di consapevolezza e autocoscienza. Il punto di partenza è certo la musica folk classica, quel canto popolare che nasce e si tramanda negli ambienti rurali; pezzi spesso ingenui, dalle tematiche semplici, legate alla quotidianità e alla mitologia popolare. In queste canzoni, laddove non prevalgono buonismi e disimpegno, esiste al massimo un senso di giustizia e di appartenenza, più che una vera coscienza di classe. Da qui Guthrie mutua una certa spontaneità espressiva, l’assenza di ossessione per le strutture e per la metrica (talvoltale parole a grappoli cavalcano melodie costringendo il canto a veri equilibrismi fonetici), e certe atmosfere che regalano alle sue canzoni un quid assolutamente americano. Ma Woody non si ferma alla mera imitazione del patrimonio collettivo, perché come scrive Umberto Fiori [2], l’artista nutre la matrice contadina di nuova ricerca, riprende gli schemi narrativi ma crea una propria personale poetica. Divoratore di storie e di informazioni, di libri, di giornali progressisti e di opere cinematografiche, Woody non ha paura né della tradizione né di rompere con essa, non è mai né un fruitore passivo né un rivoluzionario ad ogni costo. Ma rivoluzionario lo è per vocazione. Sparite le tematiche rassicuranti del country, emerge un’ideologia generale che all’inizo non insegue alcuna teorizzazione e continua a nutrirsi di miti e di gusto per il racconto di epopea. Un po’alla volta il filtro della coscienza politica si fa sempre più forte, ed è a questo punto che Woody si trova alle prese con la lezione di Joe Hill (leggendario canta-sindacalista giustiziato ingiustamente nello Utah nel 1915), colui che ha attualizzato il patrimonio dei canti sindacali e in genere della musica wobbly negli anni Dieci. Hill è il maestro, il punto di partenza, Woody lo studia, lo supera, e slegata infine da certi schemi satirici tipici di inizio Secolo Scorso, la canzone sindacale rinvigorita dalle esperienze dell’autore stesso, è in grado di unire l’impegno civile alla leggerezza performativa. Da questo patrimonio più strettamente militante Guthrie estrae il gusto del fatto storico, della propaganda nel senso stretto della parola, dell’attivismo coraggioso per la salvaguardia dei diritti e delle libertà. Seguendo ancora Fiori, quella di Woody è un’azione intellettuale ed artistica paragonabile a quella di un cineasta che documenta e racconta la vita reale seguendo un taglio quasi giornalistico nei modi e nella scelta linguaggio.
Infine, forse più marginalmente ma assumendo un ruolo molto importante, è la tradizione del canto di lavoro afroamericano, già genitrice di formule e contenuti del piccolo miracolo compiuto da Hill, a fornire a Guthrie un’ulteriore lezione. È proprio nelle mani di Woody che il talking-blues, filone tradizionalmente considerato minore rispetto al resto della tradizione, diventa un genere autonomo, una formula riconosciuta del canto di protesta.
A partire da questi strumenti e da una realtà sempre generosa di spunti, le possibilità narrative di Guthrie sono infinite. Tra sue le corde, tra le note arrotate della sua voce ruvida ed insolita, tutto diviene importante, degno di essere documentato e riprodotto in veste nuova, militante o romantica, progressista o divertente. Anche un genere insospettabile come la canzone per l’infanzia (ricordiamo, ad esempio la celebre Riding my car) diventa un classico di questo folk intelligente, che tutto rielabora e riveste di spessore e contenuti.
Guthrie compie un’operazione artistico-culturale che parte dal basso, spontanea e destrutturata nelle formule quanto consapevole nei contenuti. Intellettuale proletario, agisce a cavallo tra la raffinata cultura del folk revival e lo sgangherato patrimonio del popolo, in quel limbo, in quello spazio vuoto (fino a quel momento riempito in parte solo da certa tradizione della musica
Guthrie non ha certo bisogno di celebrazioni, per confermare il proprio posto nell’iperuranio della musica, ma i tanti eventi che si stanno susseguendo in tutto il mondo per festeggiare il centenario sono occasioni che contribuiscono a tenere vivo lo straordianrio patrimonio culturale ed etico lasciato dall’artista. A ricordare Woody in Italia ci ha pensato il Club Tenco. L’intera giornata di venerdì 16 novembre, dal bel titolo “Da qualche parte lungo la strada” (citazione da “Song to Woody” di Bob Dylan), è stata interamente dedicata al musicista statunitense. Si è svolta nella storica sede del Teatro Ariston, con un incontro-dibattito pomeridiamo e una serata musicale di altissimo livello, che ha visto sul palco Sara Lee Guthrie (nipote di Woody), Francesco De Gregori e Luigi Grechi con l'Orchestra Popolare Italiana di Ambrogio Sparagna, il gruppo newyorkese The Klezmatics, King of Opera, Giovanna Marini, Davide Van De Sfroos.
Ben vengano, quindi, anche le celebrazioni. E una volta finite, speriamo che ci sia sempre qualcuno (seguendo l’esempio della Woody Guthrie Foundation) che abbia voglia di continuare a preservare e diffondere quello che Guthrie ci ha lasciato. Woody si può studiare, può essere oggetto di analisi, di critica, di saggistica, ma il modo più autentico per proseguire, almeno idealmente, il suo percorso artistico, che ha unito ricerca musicale ed impegno civile, è cantare le sue canzoni ai grandi, ai bambini, nelle scuole, sui posti di lavoro, dentro e fuori le sedi ufficiali della cultura.
Ci sono percorsi che si compiono nelle accademie, altri lungo le infinite strade statunitensi che hanno accompagnato i passi arsi dal sole di migliaia di viandanti, sognatori, viaggiatori. Sembra sempre di vederlo sorridente, Woody, con quel suo sguardo simpatico e la sua chitarra battagliera (la scritta this machine kills fascist…) a cantare di ladri leggendari, di epopee, di ragazze coraggiose, di polvere, di anarchici sconfitti dalle contingenze ma non dalla storia, di umili caduti sotto il peso soprusi. Insomma, di tutti quelli che hanno bisogno di qualcuno che gridi al mondo le loro cause. Perché gli hobos, Stagger Lee, Jesse James, Sacco e Vanzetti, gli immigrati clandestini che muoiono senza nome in Deportees, non hanno e non possono avere déi. Forse sono vegliati da qualche stella solitaria, che nasce e riposa tra le grandi vallate, le immense pianure, le maestose montagne degli States. E da Woody Guthrie, protettore degli ultimi, che da qualche parte canta gli splendori e le miserie di questa terra, la sua terra. Bibliografia italiana essenziale:
[1] A. Portelli, La canzone popolare in America, Ed. De Donato, 1975.
[2] U. Fiori, Joe Hill, Woody Guthrie, Bob Dylan. Storia della canzone popolare in Usa. Ed. Mazzotta, 1977.
[3] M. Bettelli, Le canzoni di Woody Guthrie. Ed. Feltrinelli, 2008.
Sitografia:
Sito ufficiale Woody Guthrie: http://www.woodyguthrie.org/
Sito 100 anni Woody: http://www.woody100.com/
Sito Club Tenco: http://www.clubtenco.it/
(Pubblicato su All-About-Jazz http://italia.allaboutjazz.com/)