martedì 16 giugno 2009

Ivan

Ivan in realtà si chiamava Luigi. Racconta di aver scelto un nome
russo così come avevano fatto altri amici, e poiché i vari Igor e
Vladimir erano già stati presi, la scelta era caduta su Ivan.
Così era Ivan da sempre, da prima del Nuovo Canzoniere Italiano, da
prima de I Dischi del Sole.
Un'infanzia ed una prima giovinezza difficili ma emozionanti,
collegio, notti passate alla stazione, e tante altre avventure. Le
abbiamo sentite proprio dalla sua voce, in quel bellissimo film
documentario di Isabella Ciarchi "A quell omm" che adesso suona quasi
come un testamento, ma un testamento come quello dei poeti e degli
artisti, che rileggi o riguardi con malinconia ma anche con divertita
ammirazione, perché capisci che per fortuna tutto quello in cui hai
sperato e non sei riuscito a dire qualcuno lo ha detto anche per te.
Perché capisci che ci sono persone come Ivan che non si sono
risparmiate e hanno vissuto. Punto e Basta. Dalla Toscana a Milano,
dai gatti ai Navigli, da Hemingway a Vittorini, Ivan l'Archetipo, come
lo definì Umberto Eco la prima volta che lo sentì cantare, urlava le
canzoni con il suo timbro inconfondibile, e la sua esse che faceva i
capricci rendendo buffa una pronuncia limata da un accento lombardo
spiccato e modi spesso sbrigativi.
Modi diretti e scrittura rocambolesca, ci aveva abituato anche alla
sua scrittura senza musica, attraverso i libri e gli articoli del
manifesto, frasi veloci che si reggevano su se stesse, anziché sulla
punteggiatura.
Nelle canzoni come nella prosa, Ivan, uomo di sinistra dei più
autentici e quindi anche autenticamente critico, non cedeva alla
mediazione dialettica delle proprie analisi, se non in funzione del
bel scrivere, ma pungeva, con il coraggio necessario a chi è in grado
di mettere in discussione il sistema, anche negli aspetti più intimi e
vicini, per dedicarsi alla ricerca  della realizzazione dell'idea.
Penso alla sua Lettera a Michele, coraggiosa critica al potere,
soprattutto il potere personale che corrompe anche la  sinistra perché
cancro della qualità umana; parole dure per un compagno di partito che
forse ha scordato la lotta, ma parole anche affettuose ed  infine
drammatiche, laddove la violenza di classe è strumento necessario
verso il rispetto e per rifiutare i propri errori, il proprio potere
personale.
Già il potere, con esso lo scontro dialettico di Ivan non è mai finito.
La sua è stata una resistenza ad oltranza, cantando, scrivendo e
nell'impegno straordinario investito nell'Istituto Ernesto de Martino,
nella gestione della pesante eredità di compagni già andati, che Ivan
ha portato avanti con orgoglio e sapienza.
A me Ivan ha a sempre dato speranza. Certo, per me i giorni cantati
sono un'eredità culturale e non un'esperienza diretta, ma sono in
fondo quella memoria sociale collettiva, che è indistintamente di
tutti quelli che la sentono propria, alla faccia di ogni dato
anagrafico.
Sì forse la mia è una speranza "sfasata", parole di ieri sono parole
per il futuro di oggi, al di là delle già ricevute sconfitte.
Sarà ingenuo, ma mi dà sempre speranza una certa canzone da Il rosso è
diventato giallo, quando Ivan grida  forza Giuan l'idea non è morta...
Sarà che Giuan è Gianni Bosio, che le bandiere lacerate si possono
rattoppare, non so.
Sarà che Ivan non si arrendeva, anche nelle canzoni più recenti, meno
conosciute ma molto belle e dense di ironia e di coscienza, come
sempre, del resto. In cui si definiva un estremista perché leggeva Gianni
Mura o la Rossanda, in cui raccontava le tragedie di un rom annientato
da cristiane genti. In cui aveva male all'orologio. Maledetto
orologio.
L'ultima volta l'ho sentito cantare nel luglio del 2007, vicino a
Padova, insieme al suo fedele scudiero Paolo Ciarchi. Scherzava sulla
propria salute e lo abbiamo scoperto divertito alla richiesta di
raccontarci la storia del cappotto di Hemingway.
Era contento che la conoscessimo. Ha cantato a lungo, e sì, lo so che
tanti staranno pensando che avrà di certo stonato, ma sinceramente non
me lo ricordo, perché non ha importanza. Ricordo invece che la Ballata
per l'Ardizzone
(un Carlo Giuliani di tanti anni fa), ha mosso tra il
pubblico più di un luccicone.
Ci ha raccontato poi della chitarra, la sua chitarra storica, che
aveva ceduto e si era aperta. Ha poi mostrato con orgoglio il suo
"rammendo" dello strumento, glorioso compagno di avventure, con uno
scotch supersonico.
Io pensavo: certo che si è aperta, povera chitarra, prova tu a farti
trenta e passa anni di Ringhera, da Milano alla Spagna, ci credo che
ha ceduto...
Ieri anche Ivan ha ceduto, o meglio ha ceduto quel suo corpo
monumentale e faticoso. Lui certamente no. Lui che diceva di pensare
anarchico e di vivere sinistro, lui no.
E anche se ci credo poco, o forse non ci credo per niente, se qualcosa
c'è, di là oltre le stelle, dai Ivan continua ad incazzarti!


15/6/2009
Margherita

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