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sabato 29 ottobre 2011

GB 30


29 ottobre 1981, Saint-Gély-du-Fesc, Sa Majesté la Mort si porta via Tonton Georges.
Un pensiero per lui, per le sue favole, alle sue canzoni che ancora fanno ridere, commuovere, pensare.






...

Pauvres rois pharaons pauvre Napoléon

Pauvres grands disparus gisant au Panthéon

Pauvres cendres de conséquence

Vous envierez un peu l'éternel estivant

Qui fait du pédalo sur la plage en rêvant

Qui passe sa mort en vacances

....



(Supplique pour être enterré sur la plage de Sète)


Dal XIV arrondissement, proprio vicino a dove, per molti anni, ha vissuto con Jeanne e Marcel,
Marghi

giovedì 21 luglio 2011

Per Carlo Giuliani

La bellissima canzone di Ale:

martedì 11 gennaio 2011

11 Gennaio




Per sempre.

venerdì 27 agosto 2010

27/8/1950. Hotel Roma, Torino. Cesare Pavese

Ricordo con Cantacronache

martedì 22 giugno 2010

Un addio a Saramago di Maurizio Maggani


Forse qui non parliamo di musica, o forse sì, perché gli ideali e i principi musica lo sono. Perché un uomo è morto senza pregare, fuggendo il peso della pietà.
Ci piace ricordare J. Saramago, scomparso pochi giorni fa, in un silenzio che urla tutte le parole che egli in vita ha avuto, per fortuna, il coraggio di dire.
Ignorando inorriditi i commenti densi di cristiano e ammirevole spirito caritatevole con cui la Chiesa ha ricordato l'estinto (una velocità di ingiuria che ha fatto quasi in tempo a sentirli anche l'interessato), lasciamo questo ricordo di Maurizio Maggiani. Tenero, forte, combattente, come sempre Maggiani scava nei cuori, o almeno in certi cuori. Sicuramente, nel nostro...



da http://www.mauriziomaggiani.it/ e http://www.feltrinellieditore.it/FattiLibriInterna?id_fatto=11329&utm_source=news_autore_160247&utm_medium=email




“La storia è finita, non ci sarà nient’altro da raccontare”.

E se ne è andato, avendolo dichiarato per tempo in questo modo così definitivo da pensare che lo abbia fatto senza lasciarsi alle spalle alcun rimpianto, nella pienezza dell’uomo che è stato.
Ad avvisarmi che è morto è stata la mia compagna, che è una sua fan scatenata e non ha mai in cuor suo desistito dall’idea di andare un giorno a cercarlo a Lanzarote e convincerlo a sposarla, Pilar o non Pilar. Credo che glielo avrei lasciato fare senza rancore, avendo il senso delle proporzioni e sapendo con certezza che è il più grande tra i viventi. Lo era fino a un attimo fa. Mi ha parlato tirando sul col naso le lacrime che stava piangendo, ma alla fine la sua voce si è fatta sorridente e ha concluso la telefonata così: beh, certo non si può dire che sia morto in grazia di Dio. Una battuta sagace, attinente e confacente all’uomo che ha pensato di potersi compendiare in Caino, fratello e compagno, ma solo una buona battuta. Se c’è un Dio sono convinto che sia morto in grazia sua. Perché non c’è Dio di nessuna fede, di nessun popolo, di nessun uomo che possa resistere alle attenzione che Saramago gli ha rivolto per tutta la sua vita, per tutti i suoi romanzi. Quell’uomo ha trascorso la sua esistenza letteraria incaponito in una sola domanda incalzando un unico destinatario: Dio, perché? Nel modo ostinato fino alla ferocia che solo un figlio può riservare a un padre, allo stesso modo di Caino, non ha mai cessato di chiedergli conto di ciò che Dio si è assunto in sua potestà. Lo ha fatto quotidianamente per tutto ciò che di irragionevole e perverso e disumano attiene alla vita degli uomini e dell’intero Creato. La sua diuturna contesa con Dio ha generato una famigliarità tra loro che non credo possano vantare che pochissimi santi, rari profeti, certamente ben pochi tra i ferventi praticanti. Sì, tra loro era proprio una questione di famiglia, tra padre e figlio. Non so se si proclamasse ateo, ma se anche lo avesse fatto, chi ha letto i suoi libri non può che pensare alla fremente abiura che conclude, sempre provvisoriamente, le rivendicazioni di un figlio contro l’autorità paterna: tu non sei mio padre. Cosa assai diversa da chi dice: tu non sei mio figlio.
Di certo quell’uomo era comunista e anticlericale, in un modo così fermo e lampante, così indomito e sereno da far pensare che si ritenesse l’ultimo esemplare della specie. E magari lo è stato, almeno tra chi risulta alla notorietà. Il suo comunismo, così scarno di ideologia e denso di passione per gli uomini mi fa ricordare Filippo Buonarroti, e il suo anticlericalismo, così diretto e animoso, Giuseppe Garibaldi; uomini dell’antichità ormai, uomini della primitiva castità degli animi. In ogni caso questo naturalmente non significa nulla riguardo alle sue contese con Dio e su come Dio le avesse prese. Dio stesso, almeno a leggere il Libro da lui stesso ispirato, è stato più volte su inequivocabili posizioni anticlericali, e per quanto riguarda il comunismo, non risulta alcuna traccia di una sua decisa antipatia o contrarietà al riguardo. Questo Saramago lo sapeva bene. Ed era certo che essere l’ultimo comunista, o l’ultimo anticlericale, al mondo significava solo una responsabilità maggiore, una maggiore dedizione e fermezza, come deve essere di un uomo che testimonia per ciò che pensa e che è, comunque sia, qualunque sia la contingenza della storia; e lui, nei suoi non pochi anni, ne ha attraversate molte di contingenze della storia, drammaticamente avverse alla sua umanità.
Per questa ragione, per la sua convinzione che un uomo è dovere di testimonianza perenne di umanità, nei suoi ultimi anni si è persino adattato alla contingenza digitale e ha dato mano a un blog, immergendosi nella Rete per poter testimoniare il suo pensiero a una velocità incomparabilmente più efficace dei tempi imposti al lento farsi di un libro di carta. In Italia sono note perlopiù solo le sue posizioni decisamente avverse al primo ministro Berlusconi. Ma è bene precisare che lui non se la prendeva tanto con quell’uomo quanto con il popolo che se l’è scelto. Da comunista sorgivo credeva nel popolo e nella sua primazia e allora era al popolo che chiedeva conto, era con le sue scelte che contendeva. Come è giusto che sia.
E avendo cominciato con l’ultima frase del suo ultimo libro, che è appunto la biografia di Caino, concludo con la prima, l’epigrafe, di un suo vecchio romanzo, che parla del popolo e chiede aiuto a Almeida Garrett:
“E io domando agli economisti politici, ai moralisti, se hanno già calcolato il numero dio individui che è giocoforza condannare alla miseria, al lavoro spropositato, alla demoralizzazione, all’infanzia, all’ignoranza nella crapula, alla sventura invincibile, alla penuria assoluta, per produrre un ricco.”

lunedì 31 maggio 2010

martedì 2 marzo 2010

Al popolo cileno

Al popolo cileno colpito in questi giorni dal terribile terremoto, tragedia su cui non si può aggiungere nulla se non una nostra sentita manifestazione di dolore (come fu poco tempo fa con Haiti) dedichiamo due canzoni.
Iniziamo con uno di loro, perduto ma ancora presente (almeno qui nei nostri pensieri): Victor Jara, grande, immenso musicista e insistituibile voce del popolo (del quale vorremmo parlare diffusamente in un prossimo articolo) ...




E poi, un Fausto Amodei (Fausto ti vogliamo bene, n.d.r) di un po' di tempo fa con il testo (troverete un bel po' di testi di Amodei in deposito.org curato da Sergio) di "Al compagno Presidente" (Salvader Allende). E se per le catastrofi naturali si può maledire la sfortuna (e chi ci crede può invocare l'aiuto di qualche divinità) di fronte alle catastrofi etico-civili non ci si può che vergognare: che possano essere successe, che possano succedere, che Pinochet non abbia pagato.
Buone Canzoni.


Al compagno presidente

Niente bandiere esposte a mezz'asta,
a Valparaiso, Santiago, Antofagasta
per Salvador Allende
Hanno paura di ricordare
che un vero presidente popolare
muore ma non s'arrende.
Per chi è vissuto e morì con coraggio
non ci si attende un omaggio
da quelli che sono vissuti e più tardi
dovran morir da codardi.
Niente uniformi, né generali,
né nobil donne né autorità ufficiali
di fianco al tuo sudario.
Per chi ti ha ucciso non conta niente
la morte di un compagno presidente
morto da proletario
I traditori si sono già accorti
d'esser più morti dei morti:
anche da vivi a loro è concesso
d'essere carogne lo stesso.
Nessun cannone ti ha tributato,
sparando a salve, l'ultimo commiato,
andando al cimitero.
Nixon non spreca inutilmente
le munizioni per un presidente
morto a guerrigliero.
Ogni suo colpo lo devo serbare
per chi ti vuol vendicare.
Chi c'ha la forza e non la ragione
si affida solo al cannone.
Ma, mille a mille, si sono mosse
in tutto il mondo le bandiere rosse
per te compagno Allende.
Si sono mosse per ricordare
che solo un presidente popolare
muore ma non s'arrende.
E' stato il popolo a darti in omaggio
questo tuo grande coraggio.
Questo coraggio che tu ora da morto
Rendi al tuo popolo insorto.
Chi ti ha voluto render gli onori
sono milioni di lavoratori
di rivoluzionari.
Perchè è un esempio ormai leggendario,
che un presidente muoia proletario
tra gli altri proletari.
Ma dietro ad un proletario ammazzato
c'è tutto il proletariato.
C'è tutto il proletariato che aspetta
di compier la sua vendetta.
E quei fucili che hanno voluto
renderti ancora l'ultimo saluto,
entrando al cimitero,
son stati i primi che hanno indicato
come seguir l'esempio che tu hai dato
compagno guerrigliero.
Ora la forza ce l'ha un traditore
ma il socialismo non muore.
Esso è ben vivo e continua a lottare
con unità popolare.

mercoledì 17 febbraio 2010

Fabrizio, 70


Domani Fabrizio De André compie 70 anni. Quanto silenzio, negli ultimi dieci anni, senza di lui. Ma quanta gioia, sempre, nel sentire la sua voce limare le parole, come la rugiada le foglioline verdi, come la tristezza dolce una notte lunga e scura.
Su Fabrizio, in questi anni si è scritto e detto molto. Non sono mancate le celebrazioni (molte così dissonanti con la sua personalità schiva), non sono mancate le rivisitazioni, i dibattiti, le "spartizioni" dei meriti della sua eredità musicale (su come la pensiamo riguardo a questo, ci siamo già espressi).

Ma domani, noi non penseremo a tutto questo. Penseremo che ci manca, che vorremmo lui fosse ancora qui: saprebbe di certo scrivere una splendida canzone per le guerre che non ne vogliono sapere di tacere, per tutti quelli che in questi giorni bui perdono il lavoro, per queste declino etico-civile che sembra senza fine, per lo scempio dei nostri governanti al nostro Paese. A dire il vero, Fabrizio descrisse uno scenario apocalittico che tanto somiglia al nostro presente già vent'anni fa, con la sua splendida La domenica delle salme: uno sfondo inquietante, fitto di riferimenti storici passati e contingenti ma decisamente lungimirante, illuminato. Una catastrofe onirica (sembra un terribile incubo, o una realtà assimilata dalle coscienze senza, se non rara, resistenza), un palcoscenico di grottesche figure che forse descrive meglio il presente che quei fine 80/primi 90, anni, per i più, di superficiale ottimismo (plasmato dalla cultura dominante, che riuscì a veicolare le coscienze e il senso critico della gente verso una strada che ha portato all'attuale appiattimento socio-culturale). Tirando le somme di sessant'anni di storia, Fabrizio fu profeta del presente (quello attuale). Solo uno sguardo attento, poetico, anarchicamente libero e denso di rispetto per il prossimo poteva interpretare l'immanenza della storia, vedere oltre e cantare, trasformare in capolavoro l'essenza di una pace terrificante. Gli addetti alla Nostalgia, che accompagnano tra i flauti il cadavere di Utopia è per noi la più struggente, devastante, agghiacciante immagine della musica italiana.
Questo non è che un esempio di quello che De André ha saputo lasciarci: ogni sua canzone, dalla più tenera alla più irriverente porta bellezza a chi la vuole ascoltare ed è, alla fine, un atto d'amore (l'amore quello dei vicoli, degli indiani, delle ragazze di strada, dei vecchi che si addormentano al sole) a quell'anima universale, filo sottile, quasi impercettibile, che lega, sulla terra, solitudini e speranze.
Non ci resta che ascoltare, le parole e la voce di questo ragazzo bello, timido e colto, non ci resta che regalargli un nostro pensiero; ora, questa notte, per sempre.





(inserito su youtube da Wackooos)

Ciao Fabri

venerdì 11 dicembre 2009

12 dicembre




Chi pagherà le vittime innocenti, chi darà vita a Pinelli il ferroviere?




(inserito su youtube da agitazioni)

Alle vittime di Piazza Fontana.


Marghi

venerdì 28 agosto 2009

Virgilio Savona


Virgilio Savona si è spento ieri sera a Milano dopo una lunga malattia. Sì, Virgilio Savona quello del Quartetto Cetra, quello con gli occhiali spessi, uno dei quattro fantastici artisti degli sketch e delle canzonette da prodigi vocali di un dopoguerra in cui, per ricostruire, bisognava iniziare anche dal morale. Un pezzo della storia della musica italiana e anche di quella televisione che muoveva i primi passi quando gli standard di qualità e la tecnica riuscivano tranquillamente a convivere con i gusti del pubblico e della critica.
Savona non era solo uno dei quattro Cetra ma era anche il compositore e l'arrangiatore del gruppo, un musicista raffinato ed originale, la mente in stato di grazia alle spalle un sound moderno, denso di influenze americane ma al contempo appena melodico, ma proprio quel poco che non guasta e fa sì che la gente canticchi un brano sotto la doccia o facendo la spesa.
L'autore di un'infinità di canzoni (su testo di Tata Giacobetti) che non hanno solo divertito, ma anche insegnato un modo tutto diverso di fare spettacolo, dove la qualità vocale andava a coniugarsi con l'abilità recitativa ed una sottile ma imprescindibile vena comica, che ancora oggi contraddistingue e rende inimitabili i Cetra.
Non ho mai avuto l'occasione di vedere Virgilio di persona, ma me ne ha parlato spesso e con affetto Enrico de Angelis, che ha recentemente curato insieme a Carlo Savona (figlio di Virgilio e naturalmente di Lucia Mannucci, impeccabile voce femminile del Quartetto) un progetto editoriale di grande importanza e spessore culturale, un libro meticolosissimo in supporto ad un doppio dvd che ripropone tutte le apparizioni televisive di Savona e compagni.
Negli ultimi anni la malattia aveva inevitabilmente minato le capacità di Virgilio, ma forse grazie a quelle strane forze intellettive che guidano le persone quando mosse dalle passioni e dal fuoco dell'arte, egli, al cospetto della musica, non aveva mai rinunciato a fare con essa un giro di valzer. Risale infatti al solo 2007 la sua ultima fatica musicale, Capricci, una serie di registrazioni casalinghe eseguite con la moglie Lucia.
Virgilio aveva continuato a scrivere musica, e a scrivere di musica, esplorando pertugi diversi della canzone italiana, anche là dove qualcuno, associandolo solo al Quartetto Cetra, non se lo sarebbe aspettato.
Quando pensiamo Virgilio Savona non dobbiamo pensare solo al Quartetto. Certo, questo è stata senza dubbio la matrice principale della sua carriera artistica, è stata la "sua" forma musicale, la sua vena più percorsa ed esplorata, la scintilla che trascinò l'Italia dei Cinquanta ed oltre con canzoni inaspettate, frizzanti e coinvolgenti.
Però io penso al Virgilio studioso di musica popolare, attivissimo per le collane Albatros e I dischi dello zodiaco, nomi che oggi suonano sconosciuti, ma sono stati storia, per il folk progressivo. Penso a Virgilio con Michele L. Straniero, suo coautore di molti lavori di musicologia sullo sterminato mondo del canto popolare e sociale.
E poi penso ad un disco, un certo disco che chi bazzica la canzone politica avrà individuato. Sì, sto pensando proprio a quel 33, E' lunga la strada, dichiarato manifesto politico dei caldissimi anni Settanta, quando accanto alla musica di intrattenimento, Savona sentì l'urgenza del cantautorato attivo, addirittura militante. E' un LP bellissimo, e tanti di noi ci sono affezionati: da Nella testa di Nicola, sguardo neorealista alla frammmentata coscienza politica giovanile e alla violenza delle repressione, a quel grido sussurrato contro la mafia che è Ogni fine di Agosto. E tante altre.
Nel 2004 il Club Tenco rese omaggio a questo Savona meno conosciuto, dedicandogli l'intera Rassegna ed un disco molto accorato intitolato, con una bella trovata dantesca, Seguendo Virgilio, in cui diversi artisti, come Alessio Lega, hanno reinterpretato brani di E' lunga la strada e di altri lavori per lo più extra-Cetra (come Sexus et politica, rivisitazioni musicali di poesie latine composte per Giorgio Gaber nei primi anni Settanta); tra i brani, quella preveggente Troppi affari Cavaliere! del lontano 1954 che oggi inevitabilmente strappa qualche battutina, ma sono coincidenze, per carità...

Trovo sempre molto belli gli omaggi come questo, che arrivano quando il festeggiato è ancora in vita; primo perché possono essere solo autentici, secondo perché dopo la morte, gli omaggi possono essere belli e graditi, riusciti, indovinati, ma l'onore più grande che si può fare ad un musicista per tenere vivo il suo ricordo è tenere viva la sua arte nel quotidiano.
Allora, ascoltiamo le canzoni di Virgilio, queste ultime meno famose, meno conosciute, più difficili.
Sono canzoni belle, profonde, anche dure. Perché la vita e la musica, lo sappiamo, sono cose delicate.

mercoledì 19 agosto 2009

Fernanda

martedì 16 giugno 2009

Ivan

Ivan in realtà si chiamava Luigi. Racconta di aver scelto un nome
russo così come avevano fatto altri amici, e poiché i vari Igor e
Vladimir erano già stati presi, la scelta era caduta su Ivan.
Così era Ivan da sempre, da prima del Nuovo Canzoniere Italiano, da
prima de I Dischi del Sole.
Un'infanzia ed una prima giovinezza difficili ma emozionanti,
collegio, notti passate alla stazione, e tante altre avventure. Le
abbiamo sentite proprio dalla sua voce, in quel bellissimo film
documentario di Isabella Ciarchi "A quell omm" che adesso suona quasi
come un testamento, ma un testamento come quello dei poeti e degli
artisti, che rileggi o riguardi con malinconia ma anche con divertita
ammirazione, perché capisci che per fortuna tutto quello in cui hai
sperato e non sei riuscito a dire qualcuno lo ha detto anche per te.
Perché capisci che ci sono persone come Ivan che non si sono
risparmiate e hanno vissuto. Punto e Basta. Dalla Toscana a Milano,
dai gatti ai Navigli, da Hemingway a Vittorini, Ivan l'Archetipo, come
lo definì Umberto Eco la prima volta che lo sentì cantare, urlava le
canzoni con il suo timbro inconfondibile, e la sua esse che faceva i
capricci rendendo buffa una pronuncia limata da un accento lombardo
spiccato e modi spesso sbrigativi.
Modi diretti e scrittura rocambolesca, ci aveva abituato anche alla
sua scrittura senza musica, attraverso i libri e gli articoli del
manifesto, frasi veloci che si reggevano su se stesse, anziché sulla
punteggiatura.
Nelle canzoni come nella prosa, Ivan, uomo di sinistra dei più
autentici e quindi anche autenticamente critico, non cedeva alla
mediazione dialettica delle proprie analisi, se non in funzione del
bel scrivere, ma pungeva, con il coraggio necessario a chi è in grado
di mettere in discussione il sistema, anche negli aspetti più intimi e
vicini, per dedicarsi alla ricerca  della realizzazione dell'idea.
Penso alla sua Lettera a Michele, coraggiosa critica al potere,
soprattutto il potere personale che corrompe anche la  sinistra perché
cancro della qualità umana; parole dure per un compagno di partito che
forse ha scordato la lotta, ma parole anche affettuose ed  infine
drammatiche, laddove la violenza di classe è strumento necessario
verso il rispetto e per rifiutare i propri errori, il proprio potere
personale.
Già il potere, con esso lo scontro dialettico di Ivan non è mai finito.
La sua è stata una resistenza ad oltranza, cantando, scrivendo e
nell'impegno straordinario investito nell'Istituto Ernesto de Martino,
nella gestione della pesante eredità di compagni già andati, che Ivan
ha portato avanti con orgoglio e sapienza.
A me Ivan ha a sempre dato speranza. Certo, per me i giorni cantati
sono un'eredità culturale e non un'esperienza diretta, ma sono in
fondo quella memoria sociale collettiva, che è indistintamente di
tutti quelli che la sentono propria, alla faccia di ogni dato
anagrafico.
Sì forse la mia è una speranza "sfasata", parole di ieri sono parole
per il futuro di oggi, al di là delle già ricevute sconfitte.
Sarà ingenuo, ma mi dà sempre speranza una certa canzone da Il rosso è
diventato giallo, quando Ivan grida  forza Giuan l'idea non è morta...
Sarà che Giuan è Gianni Bosio, che le bandiere lacerate si possono
rattoppare, non so.
Sarà che Ivan non si arrendeva, anche nelle canzoni più recenti, meno
conosciute ma molto belle e dense di ironia e di coscienza, come
sempre, del resto. In cui si definiva un estremista perché leggeva Gianni
Mura o la Rossanda, in cui raccontava le tragedie di un rom annientato
da cristiane genti. In cui aveva male all'orologio. Maledetto
orologio.
L'ultima volta l'ho sentito cantare nel luglio del 2007, vicino a
Padova, insieme al suo fedele scudiero Paolo Ciarchi. Scherzava sulla
propria salute e lo abbiamo scoperto divertito alla richiesta di
raccontarci la storia del cappotto di Hemingway.
Era contento che la conoscessimo. Ha cantato a lungo, e sì, lo so che
tanti staranno pensando che avrà di certo stonato, ma sinceramente non
me lo ricordo, perché non ha importanza. Ricordo invece che la Ballata
per l'Ardizzone
(un Carlo Giuliani di tanti anni fa), ha mosso tra il
pubblico più di un luccicone.
Ci ha raccontato poi della chitarra, la sua chitarra storica, che
aveva ceduto e si era aperta. Ha poi mostrato con orgoglio il suo
"rammendo" dello strumento, glorioso compagno di avventure, con uno
scotch supersonico.
Io pensavo: certo che si è aperta, povera chitarra, prova tu a farti
trenta e passa anni di Ringhera, da Milano alla Spagna, ci credo che
ha ceduto...
Ieri anche Ivan ha ceduto, o meglio ha ceduto quel suo corpo
monumentale e faticoso. Lui certamente no. Lui che diceva di pensare
anarchico e di vivere sinistro, lui no.
E anche se ci credo poco, o forse non ci credo per niente, se qualcosa
c'è, di là oltre le stelle, dai Ivan continua ad incazzarti!


15/6/2009
Margherita

domenica 14 giugno 2009

Ciao Ivan



"...Pigliarsi la fabbrica
e poi la città
far nostra la vita
vuol dire imparare
da oggi tra noi
il nuovo rispetto
il solo rispetto che è comunista..."
(Lettera a Michele)

"Penso anarchico e vivo sinistro." Ivan Della Mea

Ci mancherai.

Marghi, Franca, Franco