lunedì 29 novembre 2010

Mario Monicelli, l'ultimo grande

Addio a Mario Monicelli, grande regista ed immenso intellettuale. Ultimi giorni con noi, contro i tagli al sapere, contro questo delirante scempio. Ultimo volo come un giovane ragazzo. Non so, a me viene da piangere, però... sorridiamo:




Ciao. M

venerdì 27 agosto 2010

27/8/1950. Hotel Roma, Torino. Cesare Pavese

Ricordo con Cantacronache

lunedì 23 agosto 2010

Nicola e Bart

Il 23 agosto del 1927 calava la notte due brave persone, Nicola e Bartolomeo. Nonostante la barbaria (cos'è la pena capitale?) e l'ingiustizia (nello specifico, erano certamente inocenti) della loro esecuzione, la loro morte non li fece uscre dalla storia, ma fece invece entrare i loro volti e le loro idee in quel sentire che alcuni di noi sentono proprio. Avremmo tante cose da dire, ma lasciamo spazio alle canzoni, al ricordo in ascolto. Che regali un po' di dolcezza ad una storia triste.

Un classico Baez-Morricone...


... una delle più celebri ballate popolari per Nicola e Bart...


Da ballads of Sacco e Vanzetti, splendido concept-albun ante litteram di Woody Guthrie...


... e l'indimenticabile Gian Maria Volontè:

lunedì 2 agosto 2010

2 lugio 1980

Segnalatoci da un amico, Antonio, questo ricordo di Stefano Benni:

Trent'anni fa una bomba alla stazione di Bologna uccise 85 persone. Il ricordo dello scrittore
2 agosto 1980: "Io non dimentico"
di STEFANO BENNI

Mi sembra di avere scritto su questo ricordo, ma non so quando. Dieci, venti anni fa. Ma quando ricordo è adesso. Sento la notizia da Brunella, che compra il giornale la mattina presto a Santa Maria di Leuca. Non occorre parlare o mettersi d'accordo. Partiamo, con una vecchia Citroen, e guidiamo alternandoci per ore e ore. Quando arriviamo, siamo ancora nel pieno dei soccorsi, ancora scavano.

Trent'anni fa Bologna era diversa. Era stata colpita perché era diversa, perché era una speranza. Ora è una città come tante del Nord Italia, né brutta né bella. Ma tante persone ricordano quella data. E non certo per nostalgia del dolore. Per la speranza che combatté quel dolore. Perché qualcosa di quella speranza è rimasta. Ci sono state altre stragi, altro sangue, altro dolore inutile. L'ultima strage, quella della legalità, si consuma non con la violenza delle bombe, ma non l'astuzia della propaganda e della potenza economica. Possiamo disquisire se le persone sono le stesse, o altre, o nuove, o migliori o peggiori. Quello che è successo a Duisburg in nome del cosiddetto show, è una strage. Possiamo distinguere dicendo che non è stata pianificata, che tutti sono pentiti. Ma per chi ha perso delle persone care, è difficile distinguere, fare una scala del dolore, trovare qualche consolazione.

Quello che mi è facile invece, è ricordare chi ha ancora speranza. Pensare a quelli che scavavano, a quelli che scavano ancora. Quelli che sperano non ci sia il nome di una persona cara di un elenco di vittime. Quelli che si sentono responsabili, e cercano di evitare stragi future. Quelli che vogliono la verità. So che sono ancora tanti, anche a Bologna. Forse non sono più rappresentati, forse la loro speranza è stata ferita e irrisa, forse qualche volta pensano: perché scavare quando tutto crolla?

Ma io so che queste persone ci saranno sempre, e mi conforta. Ogni volta che torno a Bologna, vedo i nomi sulla lapide della stazione. Qualcuno si ferma e si interroga, qualcuno nemmeno sa cosa significano quei nomi. Qualcuno neanche li guarda. Ma qualche anno fa, vidi una donna straniera entrare, e mettere dei fiori sotto la lapide. Le parlai: non era una parente, era una donna che faceva solo un gesto di ricordo, di rispetto, non davanti alle autorità, ma davanti ai suoi sentimenti. Al di là di ogni retorica e cerimonia, c'è sempre la forza di queste persone che sperano. E io spero che Bologna le ascolti molto di più, che sappia ritrovare il rapporto con la sua energia passata, che non ne faccia una statua in un museo.
Anche io, nel mio piccolo sforzo, scavo ancora, anche se dovrei e vorrei farlo di più. E scavando ho ritrovato il ricordo di quegli anni e posso dirlo forte: non dimentico e non voglio dirlo solo il due agosto.
(Repubblica, 01 agosto 2010)




E, al solito, una canzone:


martedì 22 giugno 2010

Un addio a Saramago di Maurizio Maggani


Forse qui non parliamo di musica, o forse sì, perché gli ideali e i principi musica lo sono. Perché un uomo è morto senza pregare, fuggendo il peso della pietà.
Ci piace ricordare J. Saramago, scomparso pochi giorni fa, in un silenzio che urla tutte le parole che egli in vita ha avuto, per fortuna, il coraggio di dire.
Ignorando inorriditi i commenti densi di cristiano e ammirevole spirito caritatevole con cui la Chiesa ha ricordato l'estinto (una velocità di ingiuria che ha fatto quasi in tempo a sentirli anche l'interessato), lasciamo questo ricordo di Maurizio Maggiani. Tenero, forte, combattente, come sempre Maggiani scava nei cuori, o almeno in certi cuori. Sicuramente, nel nostro...



da http://www.mauriziomaggiani.it/ e http://www.feltrinellieditore.it/FattiLibriInterna?id_fatto=11329&utm_source=news_autore_160247&utm_medium=email




“La storia è finita, non ci sarà nient’altro da raccontare”.

E se ne è andato, avendolo dichiarato per tempo in questo modo così definitivo da pensare che lo abbia fatto senza lasciarsi alle spalle alcun rimpianto, nella pienezza dell’uomo che è stato.
Ad avvisarmi che è morto è stata la mia compagna, che è una sua fan scatenata e non ha mai in cuor suo desistito dall’idea di andare un giorno a cercarlo a Lanzarote e convincerlo a sposarla, Pilar o non Pilar. Credo che glielo avrei lasciato fare senza rancore, avendo il senso delle proporzioni e sapendo con certezza che è il più grande tra i viventi. Lo era fino a un attimo fa. Mi ha parlato tirando sul col naso le lacrime che stava piangendo, ma alla fine la sua voce si è fatta sorridente e ha concluso la telefonata così: beh, certo non si può dire che sia morto in grazia di Dio. Una battuta sagace, attinente e confacente all’uomo che ha pensato di potersi compendiare in Caino, fratello e compagno, ma solo una buona battuta. Se c’è un Dio sono convinto che sia morto in grazia sua. Perché non c’è Dio di nessuna fede, di nessun popolo, di nessun uomo che possa resistere alle attenzione che Saramago gli ha rivolto per tutta la sua vita, per tutti i suoi romanzi. Quell’uomo ha trascorso la sua esistenza letteraria incaponito in una sola domanda incalzando un unico destinatario: Dio, perché? Nel modo ostinato fino alla ferocia che solo un figlio può riservare a un padre, allo stesso modo di Caino, non ha mai cessato di chiedergli conto di ciò che Dio si è assunto in sua potestà. Lo ha fatto quotidianamente per tutto ciò che di irragionevole e perverso e disumano attiene alla vita degli uomini e dell’intero Creato. La sua diuturna contesa con Dio ha generato una famigliarità tra loro che non credo possano vantare che pochissimi santi, rari profeti, certamente ben pochi tra i ferventi praticanti. Sì, tra loro era proprio una questione di famiglia, tra padre e figlio. Non so se si proclamasse ateo, ma se anche lo avesse fatto, chi ha letto i suoi libri non può che pensare alla fremente abiura che conclude, sempre provvisoriamente, le rivendicazioni di un figlio contro l’autorità paterna: tu non sei mio padre. Cosa assai diversa da chi dice: tu non sei mio figlio.
Di certo quell’uomo era comunista e anticlericale, in un modo così fermo e lampante, così indomito e sereno da far pensare che si ritenesse l’ultimo esemplare della specie. E magari lo è stato, almeno tra chi risulta alla notorietà. Il suo comunismo, così scarno di ideologia e denso di passione per gli uomini mi fa ricordare Filippo Buonarroti, e il suo anticlericalismo, così diretto e animoso, Giuseppe Garibaldi; uomini dell’antichità ormai, uomini della primitiva castità degli animi. In ogni caso questo naturalmente non significa nulla riguardo alle sue contese con Dio e su come Dio le avesse prese. Dio stesso, almeno a leggere il Libro da lui stesso ispirato, è stato più volte su inequivocabili posizioni anticlericali, e per quanto riguarda il comunismo, non risulta alcuna traccia di una sua decisa antipatia o contrarietà al riguardo. Questo Saramago lo sapeva bene. Ed era certo che essere l’ultimo comunista, o l’ultimo anticlericale, al mondo significava solo una responsabilità maggiore, una maggiore dedizione e fermezza, come deve essere di un uomo che testimonia per ciò che pensa e che è, comunque sia, qualunque sia la contingenza della storia; e lui, nei suoi non pochi anni, ne ha attraversate molte di contingenze della storia, drammaticamente avverse alla sua umanità.
Per questa ragione, per la sua convinzione che un uomo è dovere di testimonianza perenne di umanità, nei suoi ultimi anni si è persino adattato alla contingenza digitale e ha dato mano a un blog, immergendosi nella Rete per poter testimoniare il suo pensiero a una velocità incomparabilmente più efficace dei tempi imposti al lento farsi di un libro di carta. In Italia sono note perlopiù solo le sue posizioni decisamente avverse al primo ministro Berlusconi. Ma è bene precisare che lui non se la prendeva tanto con quell’uomo quanto con il popolo che se l’è scelto. Da comunista sorgivo credeva nel popolo e nella sua primazia e allora era al popolo che chiedeva conto, era con le sue scelte che contendeva. Come è giusto che sia.
E avendo cominciato con l’ultima frase del suo ultimo libro, che è appunto la biografia di Caino, concludo con la prima, l’epigrafe, di un suo vecchio romanzo, che parla del popolo e chiede aiuto a Almeida Garrett:
“E io domando agli economisti politici, ai moralisti, se hanno già calcolato il numero dio individui che è giocoforza condannare alla miseria, al lavoro spropositato, alla demoralizzazione, all’infanzia, all’ignoranza nella crapula, alla sventura invincibile, alla penuria assoluta, per produrre un ricco.”

lunedì 14 giugno 2010

domenica 13 giugno 2010

Un pensiero per Ivan

Un anno fa, nella notte tra il 13 e il 14 giugno, se ne andava Ivan Della Mea. A noi manca tanto e non lo dimenticheremo mai. Non dimenticheremo mai non solo le sue canzoni, ma soprattutto la sua ostinata coerenza politica e il suo impegno all'Istituto Ernesto De Martino. Il suo curioso modo di parlare, la sua scrittura insolita e concitata, buffa, piena di punteggiatura e di moti sospesi.

Qui, l'ultimo articolo scritto per il Manifesto pochi giorni prima di... (articolo recuperato dal bellissimo sito antiwarsong di Riccardo Venturi, che la sa più che lunga a proposito di canzoni :-) )


BRUCIA COMPAGNO BRUCIA
di Ivan Della Mea
da Il Manifesto del 12 giugno 2009

Cialtroni presuntuosi autoreferenti mentecatti retorici e pletorici recitanti di grandi parole intelligentissime che vi arrotondano il labbruccio nell'affettata pronunzia e vi allargano i buchi del naso a frogia cavallina per comunicare la potenza del vostro dire e gli occhi che se la tirano a specchio di una cultura altissima profusa con grande intelligenza e non conta un cazzo che nulla sappiate del lavoro, ne fate un'astrazione impreziosita dal suffisso «oro» e del prefisso «lav» non potrebbe fregarvene di meno. Ma volete essere di sinistra, di più, vorreste essere la sinistra e nonostante alcuni di voi abbiano alle spalle più disastri che meriti ancora vi vivete come dirigenti, diri senza genti, e impapocchiate di qui e rompete di là forti del vostro protagonismo e presenzialismo e animati dalla sottile foia di potere che informa il vostro fare: dirigenti di quarantaquattrogattiinfilaperdue ambite cariche nazionali o europee. Eterni quadri di partito o di gruppo per voi tutto fa pedana. Dalla scissione del 1906 al diciannovismo alla nascita del Partito comunista italiano non pochi tra voi già erano attrezzati e si portavano appresso una seggiolina di quelle che si chiudono onde averla prestamente fruibile per poggiare le ponderose chiappe. Voi siete stati e siete ancora la vera rovina del mondo del lavoro in generale e dei lavoratori. Fatte le eccezioni dei Di Vittorio, Novella, Santi, Trentin, Luciano Romagnoli e pochi altri davvero compagni davvero dirigenti, davvero protagonisti coscienti e responsabili di grandi vittorie e di grandi sconfitte, c'è parecchia miseria e assai poca nobiltà a giro e allora mi spiego perché non poche frange della classe operaia del nord, est e ovest, ancorché sindacalizzate, abbiano votato per la Lega. Al sindacato chiedono una sinecura da mero patronato, ma razzismo e intolleranza e non di rado fancazzismo ed egoismo e anche antipartitismo per dire anticomunismo sono costanti assai presenti sulle quali, e da tempo, dalla fine degli anni '80, come documentava con una ricerca il mio carissimo amico Primo Moroni commissionata dal sindacato, nessuna cultura contro veniva attivata e dunque nessuna politica. Si può essere cigiellisti e leghisti e razzisti e lo si è in molti casi. È questa io credo la miseria della politica di oggi e della cultura che l'informa. Chi ha voglia di fare chiarezza su queste contraddizioni? Chi ha la coscienza compagna di dire all'operaio sindacalizzato che discriminare, emarginare, fare pratica costante di razzismo e di differenzialismo significa essere fascisti dentro? Non lo vedo questo coraggio. Non vedo l'urgenza di un fare politica che sia anche fare cultura in questo senso: e cioè in contrapposizione e in rivolta.
Chi leghista viene in Piazza della Loggia il 28 maggio di ogni anno o è mentecatto o non si rende conto di essere corresponsabile dello scoppio di quella bomba: uno scoppio che nella coscienza non è finito né mai finirà. Chi, dirigente, non capisce o non vuol capire questo, è uno che ormai vede soltanto i cadreghini rassicuranti e ambiti, le piccole medie e grandi ambizioni di potere personale, la politica del farsi i cazzi propri, del chi fa da sé fa per tre. È ora di guardarsi negli occhi e di dirsi a muso duro tutto questo e ci si romperà forse ulteriormente, ma su quanto resterà si potrà tentare di ricostruire insieme sempre insieme e soltanto insieme un progetto socialista. «Brucia compagno brucia/la lotta continua ancora//Brucia compagno brucia/continuerà».






E La ringhera....




Chapeau... Marghi