venerdì 28 agosto 2009

Virgilio Savona


Virgilio Savona si è spento ieri sera a Milano dopo una lunga malattia. Sì, Virgilio Savona quello del Quartetto Cetra, quello con gli occhiali spessi, uno dei quattro fantastici artisti degli sketch e delle canzonette da prodigi vocali di un dopoguerra in cui, per ricostruire, bisognava iniziare anche dal morale. Un pezzo della storia della musica italiana e anche di quella televisione che muoveva i primi passi quando gli standard di qualità e la tecnica riuscivano tranquillamente a convivere con i gusti del pubblico e della critica.
Savona non era solo uno dei quattro Cetra ma era anche il compositore e l'arrangiatore del gruppo, un musicista raffinato ed originale, la mente in stato di grazia alle spalle un sound moderno, denso di influenze americane ma al contempo appena melodico, ma proprio quel poco che non guasta e fa sì che la gente canticchi un brano sotto la doccia o facendo la spesa.
L'autore di un'infinità di canzoni (su testo di Tata Giacobetti) che non hanno solo divertito, ma anche insegnato un modo tutto diverso di fare spettacolo, dove la qualità vocale andava a coniugarsi con l'abilità recitativa ed una sottile ma imprescindibile vena comica, che ancora oggi contraddistingue e rende inimitabili i Cetra.
Non ho mai avuto l'occasione di vedere Virgilio di persona, ma me ne ha parlato spesso e con affetto Enrico de Angelis, che ha recentemente curato insieme a Carlo Savona (figlio di Virgilio e naturalmente di Lucia Mannucci, impeccabile voce femminile del Quartetto) un progetto editoriale di grande importanza e spessore culturale, un libro meticolosissimo in supporto ad un doppio dvd che ripropone tutte le apparizioni televisive di Savona e compagni.
Negli ultimi anni la malattia aveva inevitabilmente minato le capacità di Virgilio, ma forse grazie a quelle strane forze intellettive che guidano le persone quando mosse dalle passioni e dal fuoco dell'arte, egli, al cospetto della musica, non aveva mai rinunciato a fare con essa un giro di valzer. Risale infatti al solo 2007 la sua ultima fatica musicale, Capricci, una serie di registrazioni casalinghe eseguite con la moglie Lucia.
Virgilio aveva continuato a scrivere musica, e a scrivere di musica, esplorando pertugi diversi della canzone italiana, anche là dove qualcuno, associandolo solo al Quartetto Cetra, non se lo sarebbe aspettato.
Quando pensiamo Virgilio Savona non dobbiamo pensare solo al Quartetto. Certo, questo è stata senza dubbio la matrice principale della sua carriera artistica, è stata la "sua" forma musicale, la sua vena più percorsa ed esplorata, la scintilla che trascinò l'Italia dei Cinquanta ed oltre con canzoni inaspettate, frizzanti e coinvolgenti.
Però io penso al Virgilio studioso di musica popolare, attivissimo per le collane Albatros e I dischi dello zodiaco, nomi che oggi suonano sconosciuti, ma sono stati storia, per il folk progressivo. Penso a Virgilio con Michele L. Straniero, suo coautore di molti lavori di musicologia sullo sterminato mondo del canto popolare e sociale.
E poi penso ad un disco, un certo disco che chi bazzica la canzone politica avrà individuato. Sì, sto pensando proprio a quel 33, E' lunga la strada, dichiarato manifesto politico dei caldissimi anni Settanta, quando accanto alla musica di intrattenimento, Savona sentì l'urgenza del cantautorato attivo, addirittura militante. E' un LP bellissimo, e tanti di noi ci sono affezionati: da Nella testa di Nicola, sguardo neorealista alla frammmentata coscienza politica giovanile e alla violenza delle repressione, a quel grido sussurrato contro la mafia che è Ogni fine di Agosto. E tante altre.
Nel 2004 il Club Tenco rese omaggio a questo Savona meno conosciuto, dedicandogli l'intera Rassegna ed un disco molto accorato intitolato, con una bella trovata dantesca, Seguendo Virgilio, in cui diversi artisti, come Alessio Lega, hanno reinterpretato brani di E' lunga la strada e di altri lavori per lo più extra-Cetra (come Sexus et politica, rivisitazioni musicali di poesie latine composte per Giorgio Gaber nei primi anni Settanta); tra i brani, quella preveggente Troppi affari Cavaliere! del lontano 1954 che oggi inevitabilmente strappa qualche battutina, ma sono coincidenze, per carità...

Trovo sempre molto belli gli omaggi come questo, che arrivano quando il festeggiato è ancora in vita; primo perché possono essere solo autentici, secondo perché dopo la morte, gli omaggi possono essere belli e graditi, riusciti, indovinati, ma l'onore più grande che si può fare ad un musicista per tenere vivo il suo ricordo è tenere viva la sua arte nel quotidiano.
Allora, ascoltiamo le canzoni di Virgilio, queste ultime meno famose, meno conosciute, più difficili.
Sono canzoni belle, profonde, anche dure. Perché la vita e la musica, lo sappiamo, sono cose delicate.

mercoledì 19 agosto 2009

Fernanda

mercoledì 8 luglio 2009

I Classici 1: Non al denaro non all'amore ne' al cielo



Un vecchio scritto su uno dei capolavori indiscussi della canzone d'autore. Con il nostro pensiero a Fabrizio, sempre.


NON AL DENARO, NON ALL'AMORE NE` AL CIELO



(Fabrizio De André canta Spoon River)

E` il 1971 quando Fabrizio De André scrive uno dei capitoli fondamentali della canzone d'autore: Non al denaro, non all'amore né al cielo, ovvero la sua (e di G.Bentivoglio e di N.Piovani) rivisitazione-rilettura del piccolo capolavoro di Edgar Lee Masters, L' antologia di Spoon River.
E non sono canzonette. Il disco è soprattutto un discorso ed un incontro; è un discorso perchè è un concept album , nello specifico il terzo concept album di Fabrizio, che dimostra di avere una singolare e fortunata inclinazione per tale affascinante e moderna formula epica di racconto. E' un incontro, perché è il dialogo ideale tra poeti contigui e diversi, un avvocato-gothic (con in fondo un personale ed amaro senso dell'umorismo) di Chicago, e un ragazzo ribelle di Genova che potrebbe cantare per gli dei, vicino ad Omero (l'omero di Masters, l'uomo con la fronte ampia come una nuvola); ma è un incontro mediato da una terza eclettica straordinaria figura, ovvero Fernanda Pivano, che negli anni Cinquanta tradusse l'opera letteraria di Masters e che è la "responsabile" di un' intervista immaginaria al poeta americano e di un'intervista all'amico Fabrizio a proposito delle lapidi sincere in questione.




TRA IL GIRADISCHI E LO SCAFFALE

Il passaggio alla canzone non deve essere stato facile, né nelle scelte, né riformulazione poetica. Quello che nel 1971 (e alla fine degli anni Cinquanta, alla prima lettura giovanile) colpisce Fabrizio, è la raffinata analisi della condizione e della natura umana che Masters cercò di fare con la sua Antologia, molti decenni prima. I personaggi di Spoon River, accomunati inesorabilmente dal destino ma inevitabilmente ancora legati alle bassezze e agli splendori della vita, nutrono il discorso poetico con la loro umanità ostinata ed imperfetta, con la rassegnazione o con la caparbietà di chi rimpiange i propri difetti terreni.
Così Fabrizio sceglie nove storie, parabole profane sui dettagli dell'animo, ed intesse un discorso sull'umanità, in chiave sociale e solo sottilmente politica, in quanto il livello politico è incastonato nell'analisi della difficoltà dell'uomo nelle grinfie del sistema sociale e di chi detiene il potere.
Come osserva Fernanda Pivano, esiste un lavoro di immersione temporale, ovvero Fabrizio lima qui e là dei dettagli poetici, stilistici e di contenuto e trasforma abilmente la piccola borghesia dell'America d'inizio secolo in un contesto più vicino ai suoi giorni, una realtà sociale corrotta dalla competitività, dall'invidia e dagli abusi del potere politico e religioso.
Con l'aiuto di G.Bentivoglio, indiscusso fabbricante di splendidi versi, Fabrizio ci regala nove pezzi di grande bellezza e "apertura lirica", ma anche molto ritmici e cantabili.



I PERSONAGGI

Invidiosi corrosi dalla propria invidia, innamorati malati, scienziati idealisti, blasfemi rivoluzionari... Questo è il mondo di Masters, che Fabrizio rielabora, con il suo linguaggio crudo e aulico al contempo, con il suo sguardo libertario e (in un caso) un immancabile pizzico di erotismo.
Notiamo un particolare: sono tutti personaggi maschili, a parte Ella, Kate, Maggie, Edith, Lizzy, donne finite per amore tenero o amore violento, che si vedono dedicata una sola strofa nel brano--prologo La collina, una sorta di introduzione al disco e al discorso poetico.

Un matto: ... dietro al quale sta tutto un villaggio che lo rifiuta e lo maltratta. Lui, che divertiva gli altri recitando l'enciclopedia da morto deve sentire ancora il bisbigliare rumoroso di chi compatisce la sua povera esistenza e ironicamente chiama "pietosa" la sua morte.

Un giudice: il giudice nano, incattivito dallo studio e dal rancore, corroso dell'invidia, che diventa procuratore solo per farsi dire "Vostro Onore" e mandare dal boia chi lo derideva in gioventù. Un personaggio meschino, e negativom, in parte incattivito dal sistema che spesso si erge come un ingranaggio e schiaccia le persone.

Un blasfemo: Faber il libertario, fa gridare al personaggio, che muore di morte violenta picchiato dalle guardie bigotte, lo sdegno verso il sistema, che uccide la natura tenera e perfettibile degli uomini. E' blasfema, per il potere, la sua posizione: la mela proibita, così come il paradiso, sono sulla terra, e con Dio hanno poco a che vedere, e la mela bisogna ancora rubarla, sulla terra. Ma è necessario liberarsi dal giardino incantato che il Potere ha costruito.

Un malato di cuore: il personaggio più dolce, che per amore vince le sue paure. Lui che fin da bambino spia gli altri giocare e correre a perdifiato, non esita a baciare la ragazza che ama, anche se l'amore è fatale per il suo debole cuore. Ora da morto, tiene stretto il ricordo del bacio, ultimo gesto della sua vita.

Un medico: il medico rappresenta lo scienziato idealista incastrato nel sistema; a forza di curare i bisognosi finisce per affamarsi ed è costretto ad affidarsi all'imbroglio, tantoché un "giudice con la faccia da uomo" (Fabrizio non nasconde le sue antipatie, a partire da certe riuscite traduzioni...) lo sbatte in prigione, ormai privato dell'affetto e del rispetto e implicitamente scrive "imbroglione" sulla sua lapide.

Un chimico: di nuovo uno scienziato, quindi un rappresentante del mondo moderno, ma che invece nella scienza vede un rifugio, una legge assoluta per l'esistenza e muore solo, senza un amore da ricordare, perchè, inesorabilmente, per l'amore non ha trovato formula alcuna, se non resistere sterilmente alla primavera.

Un ottico: uno spacciatore visionario di occhiali illusori, un morto che parla da un mondo alterato, onirico ed allucinato e vuole trasformare la realtà in luce, una realtà che con un po' di invidia sintetizza in uno sguardo agli amici ancora vivi sulla strada.

Il suonatore Jones: Jones, suonatore di flauto (di violino, per Masters) è l'unico che ha un nome (eccenzion fatta per l'excursus del prologo), l'unico che in fondo si è abbandonato alla vita ai suoi eccessi, al vino alla musica, alla strada. E' l'unico che se ne va con tanti ricordi e nemmeno un rimpianto, come dovrebbe essere, in fondo, per tutti.
La vicenda di Jones conclude anche il brano "La collina", e Fabrizio ci mostra quindi un particolare affetto per questo personaggio, in cui più meno esplicitamente, deve aver visto un po' di sé.




UNA (PICCOLA) ANALISI MUSICALE

Nicola Piovani è un musicista straordinario non solo tecnicamente: è dotato di una rara sensibilità per il linguaggio emotivo della musica e quindi per il discorso poetico. Non a caso, lui e Fabrizio ci hanno regalato delle canzoni-immagine: piccole storie stilisticamente autocontenute, nel senso che esiste un perfetto sincretismo tra il testo, la melodia, l'armonia. Dai toni accesi, scanzonati (chitarra decisa e sapore folk-beat) de "Un matto", alla sacralità madrigale del la minore de "Un blasfemo"; dai toni impertinenti delle melodie de "Un giudice" e "Un medico" fino al valzer romantico per il suonatore Jones. Sperimentazioni dissonanti e dodecafoniche per "Un ottico" e qua e là suggestioni alla Ennio Morricone, spiragli e visioni della una vena creativa successiva di Piovani.

Poi, sola, la voce di Fabrizio, che sa carezzare le parole e sottolineare solo certe note, in quanto riesce sempre a scegliere certe sillabe da raccontare con inclinazione insolita. E sa regalare, dignità, splendore e tristezza alla frase poetica, facendo propria la lezione del maestro francese Brassens.



UNA RIFLESSIONE FINALE


Così Fabrizio ha cantato Spoon River, con il suo do centrale vocale, le sue espressioni inconfondibili, la sua eleganza.
Il suo amore disperato e raggiante per l'umanità. Tante volte ha inventato personaggi scomodi e insicuri, teneri imperfetti, cattivi ribelli, li ha limati, ha costruito e ci ha fatto ascoltare delle storie.
Sono tutti personaggi suoi. Questi di Masters, sono suoi ugualmente, nello stesso modo, sono forse forti di un maggiore distacco dal narratore che li rende ancora più nitidi.
Inventare è una grande prova ma ugualmente grande è innamorarsi di qualcosa, limarla per e su di sé e poi saperla ri-raccontare.



Margherita Zorzi

sabato 4 luglio 2009

4 LUGLIO: TANTI AUGURI, COMANDANTE! Ti voglio bene. Marghi





HASTA SIEMPRE

Aprendimos a quererte
desde la historica altura
donde el sol de tu bravura
le puso cerco a la muerte.

Aqui se queda la clara
la entranable transparencia
de tu querida presencia
Comandante Che Guevara.

Tu mano gloriosa y fuerte
desde la historia dispara
cuando todo Santa Clara
se despierta para verte.

Aqui se queda la clara
la entranable transparencia
de tu querida presencia
Comandante Che Guevara.

Quien es que mando la brisa
con sol esta primavera
para plantar la bandera
con la luz de tu sonrisa?

Aqui se queda la clara
la entranable transparencia
de tu querida presencia
Comandante Che Guevara.

Tu amor revolucionario
te conduce a nueva empresa
donde esperan la firmeza
de tu brazo libertario.

Aqui se queda la clara
la entranable transparencia
de tu querida presencia
Comandante Che Guevara.

Seguiremos adelante
como junto a ti seguimos
y con Fidel te decimos:
Hasta siempre, Comandante!

(Carlos Puebla)

martedì 16 giugno 2009

Ivan

Ivan in realtà si chiamava Luigi. Racconta di aver scelto un nome
russo così come avevano fatto altri amici, e poiché i vari Igor e
Vladimir erano già stati presi, la scelta era caduta su Ivan.
Così era Ivan da sempre, da prima del Nuovo Canzoniere Italiano, da
prima de I Dischi del Sole.
Un'infanzia ed una prima giovinezza difficili ma emozionanti,
collegio, notti passate alla stazione, e tante altre avventure. Le
abbiamo sentite proprio dalla sua voce, in quel bellissimo film
documentario di Isabella Ciarchi "A quell omm" che adesso suona quasi
come un testamento, ma un testamento come quello dei poeti e degli
artisti, che rileggi o riguardi con malinconia ma anche con divertita
ammirazione, perché capisci che per fortuna tutto quello in cui hai
sperato e non sei riuscito a dire qualcuno lo ha detto anche per te.
Perché capisci che ci sono persone come Ivan che non si sono
risparmiate e hanno vissuto. Punto e Basta. Dalla Toscana a Milano,
dai gatti ai Navigli, da Hemingway a Vittorini, Ivan l'Archetipo, come
lo definì Umberto Eco la prima volta che lo sentì cantare, urlava le
canzoni con il suo timbro inconfondibile, e la sua esse che faceva i
capricci rendendo buffa una pronuncia limata da un accento lombardo
spiccato e modi spesso sbrigativi.
Modi diretti e scrittura rocambolesca, ci aveva abituato anche alla
sua scrittura senza musica, attraverso i libri e gli articoli del
manifesto, frasi veloci che si reggevano su se stesse, anziché sulla
punteggiatura.
Nelle canzoni come nella prosa, Ivan, uomo di sinistra dei più
autentici e quindi anche autenticamente critico, non cedeva alla
mediazione dialettica delle proprie analisi, se non in funzione del
bel scrivere, ma pungeva, con il coraggio necessario a chi è in grado
di mettere in discussione il sistema, anche negli aspetti più intimi e
vicini, per dedicarsi alla ricerca  della realizzazione dell'idea.
Penso alla sua Lettera a Michele, coraggiosa critica al potere,
soprattutto il potere personale che corrompe anche la  sinistra perché
cancro della qualità umana; parole dure per un compagno di partito che
forse ha scordato la lotta, ma parole anche affettuose ed  infine
drammatiche, laddove la violenza di classe è strumento necessario
verso il rispetto e per rifiutare i propri errori, il proprio potere
personale.
Già il potere, con esso lo scontro dialettico di Ivan non è mai finito.
La sua è stata una resistenza ad oltranza, cantando, scrivendo e
nell'impegno straordinario investito nell'Istituto Ernesto de Martino,
nella gestione della pesante eredità di compagni già andati, che Ivan
ha portato avanti con orgoglio e sapienza.
A me Ivan ha a sempre dato speranza. Certo, per me i giorni cantati
sono un'eredità culturale e non un'esperienza diretta, ma sono in
fondo quella memoria sociale collettiva, che è indistintamente di
tutti quelli che la sentono propria, alla faccia di ogni dato
anagrafico.
Sì forse la mia è una speranza "sfasata", parole di ieri sono parole
per il futuro di oggi, al di là delle già ricevute sconfitte.
Sarà ingenuo, ma mi dà sempre speranza una certa canzone da Il rosso è
diventato giallo, quando Ivan grida  forza Giuan l'idea non è morta...
Sarà che Giuan è Gianni Bosio, che le bandiere lacerate si possono
rattoppare, non so.
Sarà che Ivan non si arrendeva, anche nelle canzoni più recenti, meno
conosciute ma molto belle e dense di ironia e di coscienza, come
sempre, del resto. In cui si definiva un estremista perché leggeva Gianni
Mura o la Rossanda, in cui raccontava le tragedie di un rom annientato
da cristiane genti. In cui aveva male all'orologio. Maledetto
orologio.
L'ultima volta l'ho sentito cantare nel luglio del 2007, vicino a
Padova, insieme al suo fedele scudiero Paolo Ciarchi. Scherzava sulla
propria salute e lo abbiamo scoperto divertito alla richiesta di
raccontarci la storia del cappotto di Hemingway.
Era contento che la conoscessimo. Ha cantato a lungo, e sì, lo so che
tanti staranno pensando che avrà di certo stonato, ma sinceramente non
me lo ricordo, perché non ha importanza. Ricordo invece che la Ballata
per l'Ardizzone
(un Carlo Giuliani di tanti anni fa), ha mosso tra il
pubblico più di un luccicone.
Ci ha raccontato poi della chitarra, la sua chitarra storica, che
aveva ceduto e si era aperta. Ha poi mostrato con orgoglio il suo
"rammendo" dello strumento, glorioso compagno di avventure, con uno
scotch supersonico.
Io pensavo: certo che si è aperta, povera chitarra, prova tu a farti
trenta e passa anni di Ringhera, da Milano alla Spagna, ci credo che
ha ceduto...
Ieri anche Ivan ha ceduto, o meglio ha ceduto quel suo corpo
monumentale e faticoso. Lui certamente no. Lui che diceva di pensare
anarchico e di vivere sinistro, lui no.
E anche se ci credo poco, o forse non ci credo per niente, se qualcosa
c'è, di là oltre le stelle, dai Ivan continua ad incazzarti!


15/6/2009
Margherita

domenica 14 giugno 2009

Ciao Ivan



"...Pigliarsi la fabbrica
e poi la città
far nostra la vita
vuol dire imparare
da oggi tra noi
il nuovo rispetto
il solo rispetto che è comunista..."
(Lettera a Michele)

"Penso anarchico e vivo sinistro." Ivan Della Mea

Ci mancherai.

Marghi, Franca, Franco

venerdì 12 giugno 2009

AmoDay


Lunedì scorso 8 giugno, Trattoria Porto Mancino di via Lazzaretto 26, Verona, organizzato dall'Associazione Culturale Malacarne... Amoday, omaggio a Fausto Amodei.